“Reset or Restoration?” di David Shah, Responsabile del MarediModa Trend Board
David Shah, trend forecaster di fama mondiale e responsabile del MarediModa Trend Board ci dà la sua visione sul mondo post-covid.
L’editoriale è pubblicato sull’ultimo imperdibile numero di Textile View Magazine #130, la pubblicazione di riferimento del comparto tessile moda.
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RESET OR RESTORATION?
Ciò che leggiamo ci fa credere che, molte cose non saranno più le stesse dopo la pandemia di coronavirus. Nelle città di tutto il mondo, il trasporto urbano e le infrastrutture hanno già subito una trasformazione. Così come i viaggi aerei, il lavoro d’ufficio, lo sport, le relazioni, i ristoranti, il cinema e il teatro – e questo è solo l’inizio. E non abbiamo ancora affrontato l’argomento shopping e negozi!
E’ opinione comune che le “fratture esposte” rivelate dalla pandemia fossero già evidenti prima del suo arrivo: sistemi sanitari inadeguati, disuguaglianze tra razze e classi sociali, incompetenza di alcuni dei nostri politici, disunione piuttosto che unità e le conseguenze fatali della diminuzione dei servizi pubblici.
Il Financial Times, baluardo dell’establishment, dice che, invertendo il trend prevalente degli ultimi quattro decenni, che “radicali riforme dovranno essere messe sul tavolo”. La natura è diventata la panacea per tutti i guai, incompetenti sono ora i competenti e, dopo che i governi hanno studiato forme di sussidio per permettere ai cittadini di rimanere a casa, si discute seriamente di un reddito universale.
Non è la prima volta che ci troviamo a fronteggiare un disastro e ci aspettiamo una trasformazione. Come ci ha dimostrato la crisi finanziaria del 2008, ci vuole più che una speranza per cambiare il mondo. Quindi si tratta di azzerare tutto o di restaurare? Nessuno può rispondere a questa domanda, perché nessuno può dire cosa succederà una volta che il coronavirus si sarà placato – se e quando troveremo un vaccino. Il miglior profeta, ha scritto Thomas Hobbes, è il miglior indovino. Tuttavia, una cosa è certa: ciò che il consumatore cerca ora è sicurezza, affidabilità e chiarezza.
DISFARE IL MONDO
Dobbiamo accettare il fatto che la pandemia e i danni che ha causato non hanno necessariamente cambiato il mondo, ma hanno accelerato tendenze che stavano già plasmando l’economia. Quando si parla di de-globalizzazione, ci riferiamo ad aziende che si sono impegnate a ridurre la loro esposizione verso paesi che evidenziano elevati rischi geopolitici o sanitari. Nel 2018, il valore globale degli investimenti realizzati dalle multinazionali all’estero è sceso di circa il 20%, secondo i dati citati dall’Economist, e il commercio mondiale di beni potrebbe ridursi, quest’anno, di un altro 10-30%.
Un mondo frammentato farà sì che la soluzione dei problemi globali (come la ricerca di un vaccino contro il coronavirus, l’apertura delle frontiere e la strutturazione dei prestiti internazionali) diventi più difficile e il nazionalismo e il populismo continuino ad alzare la testa. Gli esempi vanno da Narendra Modi, primo ministro indiano, che ha parlato alla nazione di una nuova era di autosufficienza economica alla creazione da parte dell’Unione Europea di un fondo per l’acquisto di partecipazioni in imprese. E questo prima di iniziare a discutere dell’ultimo round della guerra commerciale tra Cina e America.
Va bene criticare un sistema che ha chiaramente dei difetti: avidità, disuguaglianza, inquinamento. Ma quello stesso sistema ha anche sollevato molte società dalla povertà, migliorato l’aspettativa di vita e l’istruzione. Nessuno ha ancora trovato un sistema alternativo ragionevole che possa funzionare. Reshoring, artigianato locale e autosufficienza sono ideali meravigliosi, ma cosa succederebbe ai 3,6 milioni di lavoratori tessili del Bangladesh?
BIG DATA E AUTOMAZIONE
Nel mondo della moda si parla di dati ormai da molti anni, oggi più che questa situazione s’impadronisce della nostra vita. In termini puramente commerciali, tutto ciò che promette di ridurre le scorte e di minimizzare i rischi può essere un vantaggio e corrette informazioni possono agevolare. Ci sono ingenti perdite da compensare e il reshoring comporta costi di produzione più elevati. Intelligenza artificiale, progettazione virtuale, sviluppo di prodotti digitali, fabbriche collegate e stampa 3D possono aiutare a ridurre i costi.
Il 30 aprile, l’amministratore delegato di Microsoft Satya Nadella ha dichiarato che il gigante del software ha assistito “ad una trasformazione digitale di due anni realizzarsi in due mesi”, con il coronavirus che ha cambiato repentinamente la nostra vita online. Il magnate della pubblicità Martin Sorrell prevede che la pandemia del coronavirus spingerà le aziende ad accelerare la loro trasformazione digitale come parte di un cambiamento permanente nel comportamento dei consumatori e del business.
Il virus ha anche spalancato le porte a un esercito di robot e la forza lavoro post coronavirus potrebbe avere un aspetto abbastanza diverso. Le recessioni economiche hanno una storia di automatizzazione interessante: su 10 aziende intervistate dalla società di consulenza EY, quattro di loro affermano che stanno realizzando in questo periodo i loro progetti di automazione. I negozi completamente automatizzati, come Amazon Go, sembravano, fino a qualche mese fa, una bizzarria tecnologica. Oggi queste operazioni contactless sembrano una necessità.
Non sono solo i problemi economici e di sicurezza che spingono tutto questo. Il techlash, che stava guadagnando terreno del virus, sembra essere svanito. Come avremmo potuto sopravvivere all’isolamento senza internet per le aziende? La nuova tecnologia di tracciamento ha anche aperto nuovi lucrosi mercati per le aziende che rilevano, vendono e analizzano i private data.
IL CONSOLIDAMENTO DEL POTERE
Il Covid-19 ha cambiato la moda in un mercato dove il vincitore si prende tutto? Sia Amazon che Ali Baba hanno prosperato durante la pandemia. In aprile, gli analisti, hanno stimato per Amazon, nel primo trimestre, entrate per 73 miliardi di dollari – che significa in 10.000 dollari di vendite al secondo, sulla scorta di un calcolo effettuato da The Guardian – questo, nonostante il fitto dibattito pubblico sulle questioni fiscali di Amazon, la gestione della sicurezza del personale e l’effetto finale sui piccoli negozi. Dato che la distanza di sicurezza rimane un problema, non c’è dubbio che la vendita su internet crescerà, così come la concorrenza tra i giganti americani e cinesi.
Nel mondo del lusso, i colossi francesi LVMH e Kering sono bloccati in una battaglia a sé stante. Entrambi sono stati duramente colpiti dalla pandemia e, il settore del lusso, secondo le previsioni di McKinsey & Company, quest’anno si ridurrà a livello globale del 35-39%. Alla fine di maggio, il prezzo delle azioni di LVMH è sceso del 13% da inizio anno, mentre quello di Kering è sceso del 26%. Il lato positivo è che i consumatori cinesi stanno iniziando a spendere di nuovo nel lusso, anche se non possono viaggiare e la spesa generale dei consumatori nella Repubblica Popolare Cinese è diminuita del 7,5% su base annua, secondo l’Ufficio Nazionale di Statistica del Paese.
È piuttosto interessante notare che, mentre possa risultare poco corretto aumentare i prezzi durante una pandemia, per di più in un momento di calo della domanda, è esattamente ciò che stanno facendo i signori del lusso. Louis Vuitton ha aumentato i prezzi del 3% a marzo e di un altro 5% ad aprile. Chanel è stata ancora più audace, aumentando i prezzi di alcune delle sue iconiche borse e di alcuni piccoli articoli in pelle tra il 5% e il 17%. Naturalmente, i prezzi del mercato del lusso aumentano continuamente – spesso al doppio del tasso di inflazione – a causa dell’aumento dei costi di produzione e degli affitti, e della psicologia del cliente che associa prezzi elevati alla desiderabilità di un prodotto. Questa volta, si è trattato però di gonfiare i margini e di ammortizzare l’impatto sul risultato finale dei minori volumi complessivi di vendita e cercare di compensare i mancati introiti durante le settimane di chiusura forzata dei negozi.
Gli analisti sono fiduciosi nella lunga sopravvivenza sia di LVMH che di Kering: hanno solide fondamenta e liquidità, network e sistemi di produzione per resistere. Potrebbero consolidare la loro esposizione con i negozi, ma, allo stesso tempo non si faranno scrupoli a sfruttare qualsiasi possibilità di M&A che emergerà nel momento in cui players più piccoli del circuito del lusso soffriranno. Ricordate, LVMH è passata dall’ avere tre assets – Louis Vuitton, Moët & Chandon e Hennessy – a 76, contando anche Tiffany. Perché dovrebbe fermarsi qui?
Fin qui abbiamo parlato solo dei colossi. All’altro vertice della scala, il problema del coronavirus potrebbe incentivare le piccole imprese locali. Nonostante le difficili condizioni, un nuovo senso di solidarietà e di comunità è emerso tra la gente che ha cercato, attraverso gli acquisti, di sostenere le aziende locali. I modelli di business che si basano sulla massima affluenza degli acquirenti sono in contrasto con il social distancing e, i consumatori, che diffidano dei trasporti pubblici, si recano a piedi o in bicicletta sotto casa o nei negozi del centro – soprattutto quando le amministrazioni locali si impegnano nella realizzazione di zone di shopping pedonale. I dati che giungono dalla Gran Bretagna elaborati da Kantar mostrano un’impennata del 63% per i negozi all’angolo e i piccoli negozi durante i tre mesi fino al 17 maggio.
L’ENIGMA MODA
Questo non è un momento favorevole per la moda. Il settore dovrebbe subire una contrazione del 27-30% quest’anno, secondo il rapporto State of Fashion 2020 Coronavirus Update del Business of Fashion e McKinsey & Company. L’industria della moda non ha attraversato un periodo facile. La regola, che ha seguito durante il 2019 e cioè “fare la cosa giusta”, è stata anche la risposta del settore alla pandemia. LVMH ha fornito 261 ventilatori agli ospedali francesi e ha riaperto 12 fabbriche di borse Louis Vuitton per cucire mascherine. Innumerevoli aziende e giovani designer si sono dati da fare per cucire maschere e produrre indumenti protettivi e disinfettanti per le mani per le strutture sanitarie locali.
Ma una volta che la tempesta si sarà placata, l’industria dovrà affrontare un mercato in recessione, un’ondata di insolvenze e un sistema produttivo in rapida trasformazione. Peggio ancora, la quarantena potrebbe accelerare alcuni dei cambiamenti dei consumatori in materia di rifiuti e sostenibilità, riducendo gli acquisti o spostando un maggior numero di nuovi clienti verso il rent & resale.
Detto questo, il coronavirus ha anche offerto al mondo della moda la possibilità di reinventarsi completamente o, meglio, di riposizionare la sua scala di valori e il suo modus operandi. Coglierà questa opportunità?
Alcuni marchi ci stanno sicuramente provando. A maggio, un gruppo di stilisti e rivenditori ha scritto una lettera aperta in cui ha riconosciuto che l’attuale sistema di consegna della merce non funziona – con i cappotti in vetrina a luglio e i costumi da bagno a gennaio. Il dibattito si è rafforzato anche a causa del ritardo stagionale impostoci dal virus. Dietro la lettera c’erano designer come Thom Browne, Dries Van Noten, Tory Burch, Erdem Moralioglu e Gabriela Hearst, rivenditori come Nordstrom e Bergdorf Goodman negli Stati Uniti, Lane Crawford in Asia e Selfridges in Gran Bretagna. Al momento della stesura della lettera, non vi è stata nessuna presa di posizione da parte di altri grandi marchi come quelli della scuderia LVMH (che comprende Dior, Givenchy e Fendi), il portabandiera di Kering come Gucci, Saint Laurent e Bottega Veneta, o da Prada, Armani, Ralph Lauren e Calvin Klein. La cooperazione non è mai stata un punto di forza dell’industria della moda, e la storia suggerisce che anche le idee migliori possono fallire se non vi è una massa critica. Stiamo a vedere.
Maggio ha visto anche il gruppo Rewiring Fashion esporre il suo manifesto, che non riguarda non solo la revisione dell’attuale calendario della moda, ma anche tutta la raison d’être delle sfilate.
Un forte presa di posizione sul ripensamento delle sfilate di moda proviene da Kering che, con Alessandro Michele di Gucci, ha affermato che le sfilate sono obsolete e che non intende più aderire agli schemi primavera/estate, autunno/inverno, cruise e pre-fall. D’ora in poi l’azienda farà due anziché cinque sfilate all’anno. Saint Laurent ha annunciato, in aprile, che non parteciperà alla Paris Fashion Week in programma questo settembre e fisserà il proprio calendario più avanti, una decisione presa in “un’ondata di cambiamenti radicali”.
IL FATTORE GIOVANI
Il terremoto giovanile, alimentato dalla Generazione Z, è destinato ad avere un impatto anche sul mercato della moda post-coronavirus. Facendo proselitismo sui principi dell’hopepunk, la Gen Z vuole vedere un mondo migliore, dove creatività, identità, comunità, ottimismo e empatia vengono al primo posto. Le loro voci non potranno che rafforzarsi, soprattutto ora che sentono di rinunciare al loro futuro perché gli anziani possano vivere.
Secondo l’Eurostat, prima che del Covid-19, la disoccupazione giovanile, nel sud dell’Europa, già si attestava intorno al 30%, oggi le prospettive sembrano peggiori rispetto alla crisi finanziaria del 2008. Lo shock a breve termine della pandemia lascerà cicatrici a lungo termine. La Resolution Foundation stima che, coloro che termineranno gli studi quest’anno avranno meno probabilità di trovare lavoro fra tre anni. La probabilità di trovare un’occupazione diminuirebbe del 13% per i laureati e del 37% per quelli con meno qualifiche.
Naturalmente, le giovani generazioni chiedono che l’economia post-coronavirus non si costruisca sulle spalle degli under 35, come è successo dopo il fiasco della Lehman. E non bisogna sottovalutare la loro influenza e la loro capacità di cambiare le cose. Sono informati, disinvolti con il digitale, organizzati, e strenui sostenitori dell’uguaglianza, affrontano il cambiamento climatico e promuovono i diritti LGBTQ+.
Prima della pandemia, secondo una ricerca condotta per conto della Royal Society for the Encouragement of Arts, Manufacturers and Commerce, si stima che due terzi dei capi d’abbigliamento venissero acquistati in negozio. Tuttavia, a causa del virus e del lockdown, la filosofia della Gen Z “compra meno, compra meglio”, costruita intorno a riciclo, sostenibilità, hacking, rent & sale, sta prendendo piede anche presso le generazioni più vecchie. I dati dimostrano che la pandemia ha fatto sì che il 28% delle persone abbia riciclato o riutilizzato maggiormente gli abiti e che, il 35% delle donne intenda acquistare meno vestiti in futuro.
Un comportamento di questo tipo avrà ripercussioni sul fast-fashion e sul potere in declino di celebrità e influencer. In questo periodo, i consumatori sono attratti da una nuova serie di eroi come scienziati e figure chiave nel contesto della pandemia. Molti marchi stanno ridimensionando la presenza di influencer nelle loro campagne nel tentativo di essere più concreti e diretti con i loro clienti, utilizzando e-mail mirate o puntando sui loro dipendenti.
Cosa ci dobbiamo aspettare dal mondo del fashion? Potremmo dire con una certa sicurezza che il futuro della moda ruota intorno a 10 punti chiave.
1. I pesci grossi mangeranno i piccoli in un periodo di intenso riconsolidamento industriale.
2. Il digitale accelererà ogni processo e il sistema di vendita all’ingrosso diminuirà.
3. I cinesi si risolleveranno per primi recuperando fino al 50% del mercato del lusso, e faranno la spesa a casa.
4. Local is the new black, le collezioni saranno più piccole e limitate nel numero, mentre aumenteranno reshoring e investimenti in aziende locali.
5. Le tendenze stagionali scompariranno a poco a poco e ci si concentrerà maggiormente sugli investimenti. Si tornerà ad una vendita stagionale.
6. Il concetto di sfilata verrà completamente stravolto.
7. Il digitale diventerà un elemento chiave della vendita anche perché i consumatori viaggeranno meno
8. I business basati sul rent & sale e su una sostenibilità trasparente cresceranno.
9. Loungewear e athleisure sono tutt’altro che finiti – soprattutto perché il lavoro agile diventerà la norma per alcuni settori.
10. Lo shift verso prodotti realizzati con minori risorse e realizzati a durare lascerà libero sfogo all’esuberanza e all’eccesso, proprio come il razionamento dei tessuti, durante la guerra, ha aperto la strada alla collezione New Look di Dior nel 1947.
ANDIAMO A FARE SHOPPING?
Per le vie degli acquisti e i centri commerciali questo è un momento di vita o di morte che potrebbe cambiare il volto dello shopping così come lo conosciamo.
La crisi ha accelerato il business di internet e ha velocizzato la scomparsa dei grandi magazzini e del tradizionale centro commerciale. RIP Neiman Marcus, JCPenney, Debenhams, Laura Ashley e Warehouse, per citarne solo alcuni. Inoltre, qualsiasi ritorno al guadagno dopo il lockdown potrebbe essere ostacolato dal duplice pericolo dell’aumento dei costi operativi e della debole domanda da parte dei consumatori. Sicuramente, i negozi in provincia avranno vita più facile rispetto a quelli in città abituati ad alti volumi e ad una clientela numerosa.
La buona notizia è che la fine del lockdown, in alcuni Paesi europei, ha visto i consumatori ritornare agli immobili. Nel primo giorno di regolamentazione più tranquilla e aperture di negozi, in Inghilterra, l’affluenza nelle strade principali è aumentata del 31,5% e nei centri commerciali del 37,8%, secondo Springboard. In molti Paesi c’erano lunghe code fuori dalle filiali di Ikea e, naturalmente, di Zara. Non ci resta che vedere se si è trattato di una reazione impulsiva ai consumi dopo la quarantena o di un atteggiamento a lungo termine.
Guardando alle future valutazioni della borsa sul retail, il divario tra vincitori e perdenti non fa che aumentare, questo perché gli investitori preferiscono sostenere una visione a lungo termine di una crescita digitale rispetto a quella fisica. Secondo le stime di Refinitiv per la fine dell’anno 2022, il rivenditore online Boohoo ha una prospettiva di crescita di ben 42 volte, mentre Marks & Spencer è valutato sei.
UN’ ECONOMIA DELLA GENTILEZZA?
La recessione del 2008 ha portato all’aumento di grandi discount come Lidl, Aldi e Primark. Saranno ancora più importanti, poiché l’economia post-Covid-19 ha ulteriormente aggravato il divario fra ricchi e poveri. Non sarà solo una questione di prezzo – Mary Portas guru dello shopping inglese crede che ciò che i consumatori cercano sia cambiato e sostiene con forza ” un’economia della gentile “. Nella sua newsletter, The Reset, descrive “una nuova era di shopping e di vita”.
In un’intervista con il Guardian, afferma, fra l’altro, che l’era del fast fashion e dei grandi magazzini troppo forniti si stia concludendo dopo 20 anni. Riconoscendo l’importanza che continuano a rivestire i discount, è convinta che un numero crescente di persone desidererà e comprerà marchi che riflettano i loro valori personali. Le aziende che si sono dimostrate eroine della pandemia godranno di benevolenza duratura nei confronti dei loro marchi, a differenza di quelle che hanno macchiato la loro reputazione. Certamente, come abbiamo già detto, un tale pensiero favorirà il movimento per l’iper-locale e lo shopping di quartiere.
Qualunque sia il livello o l’ubicazione, McKinsey & Company ha ragione quando sostiene che la crisi della Covid-19 ha portato a grandi cambiamenti nel comportamento dei consumatori e che i retailer dovranno lavorare sodo per soddisfare le esigenze in continua evoluzione della customer experience per poter vincere e rimanere sul mercato. “Dovrebbero stabilire obiettivi specifici attraverso cinque azioni”, spiega la società di consulenza gestionale nell’articolo Adapting to the Next Normal in Retail. “Raddoppiare il digitale, innovazione ovunque, trasferire le operazioni di negozio e vincere su ‘SafeX’, ripensare la rete fisica e abbracciare un modello operativo agile”.
CONCLUSIONE
Il primo ministro francese, Édouard Philippe, ha riassunto la situazione quando ha detto al Parlamento che, la decisione di confinare la popolazione nelle proprie case mesi fa, aveva salvato 62.000 vite, ma che era giunto il momento di iniziare a revocare il blocco per evitare il collasso economico. “Dovremo imparare a convivere con Covid-19 e a proteggerci da esso”, ha detto. “È una linea sottile che deve essere seguita. Un po’ troppa disattenzione e l’epidemia ricomincia. Un po’ troppa cautela, e l’intero Paese affonda”.
La prima cosa che accade in una recessione tende a non essere una radicale reingegnerizzazione dell’economia, ma il calcolo di ciò si può salvare e di cosa si debba sacrificare. È esattamente quello che è successo dopo il 2008, quando le banche sono state ricapitalizzate e 10 milioni di americani hanno perso la casa. La storia dimostra che gli errori che emergono con una crisi vengono dimenticati subito dopo.
Succederà lo stesso anche ora? Dicono che il lupo perde il pelo ma non il vizio. Certo, la fine del lockdown ha visto qualche comportamento pubblico non conforme alle regole in alcune spiagge e parchi. Ha visto anche una corsa ai negozi e i centri commerciali preferiti – LV e Chanel da un lato del mercato, Ikea e Primark dall’altro. Anche se chiediamo a gran voce che da questa crisi esca un mondo nuovo, ciò non avverrà senza lotta.
Entro il 2022 il mondo sarà sostanzialmente cambiato, più o meno lo stesso, o solo un poco. Pensiamo che probabilmente sarà più o meno lo stesso, ma, si spera, con alcuni cambiamenti significativi. Ci preoccuperemo sicuramente di più della politica ambientale e del cambiamento climatico. Dovremo ascoltare con più attenzione le richieste dei giovani il cui futuro è stato sacrificato alla pandemia e tutti imparare ad accontentarci con meno.
DAVID R. SHAH